C’era una volta una grande trattativa, condotta con il solenne impegno di garantire dignità e diritti ai lavoratori di un settore chiave per il Paese. Si parlava di aumenti, di tutele, di prospettive. Poi, come spesso accade nelle grandi favole moderne, la realtà ha bussato alla porta e ciò che era stato annunciato con squilli di tromba si è rivelato un castello di carta, fragile e inconsistente.
Gli operai, i conducenti, i lavoratori – quelli veri – che ogni giorno fanno girare le ruote del trasporto pubblico locale si sono ritrovati con le tasche vuote e un’unica certezza: quello che doveva essere un contratto capace di ridare loro respiro si è dissolto nell’aria come una bolla di sapone. Si attendeva una “una tantum” a febbraio, ma niente. A marzo sarebbero dovuti arrivare gli aumenti tabellari ma il calendario scorre e il nulla regna sovrano. Giugno avrebbe dovuto portare il trattamento integrativo ma l’unico trattamento ricevuto è stata l’ennesima pacca sulla spalla. E per chi nutrisse ancora qualche speranza, il 2026, con il suo misero 6%, non sarà certo l’anno della svolta.
Ma come si è arrivati a questa situazione? Mistero. Di certo, attorno ai tavoli delle trattative si aggirano figure di grande esperienza nel firmare accordi che si sciolgono come neve al sole. Alcuni di loro, pur non conoscendo il sudore della strada, hanno l’incredibile capacità di stabilire le regole per chi invece su quelle strade vive ogni giorno. E così, mentre il trasporto pubblico locale si impoverisce e si svuota di lavoratori sempre più demotivati, qualcuno riesce nell’ardua impresa di trasformare ogni rinnovo in un’operazione al ribasso, con la stessa abilità con cui si fa sparire la moneta nel gioco delle tre carte.
Il problema, però, non è solo retributivo. È culturale. Perché mentre in altri settori si combatte per mantenere salari dignitosi e condizioni di lavoro umane, qui si riesce a far passare per accettabile una perdita di quattro rinnovi in vent’anni. E nel frattempo, tra regolamentazioni sugli scioperi e ritmi sempre più insostenibili, chi lavora è considerato un semplice ingranaggio, utile solo finché regge la pressione.
Eppure, qualcuno si ostina ancora a credere che sia possibile invertire la rotta. Chi non si accontenta di vedere il settore sprofondare nel pantano delle decisioni imposte dall’alto, ha deciso di rimettere in moto le rivendicazioni, di non lasciare che il futuro dei lavoratori sia svenduto per un pugno di promesse mai mantenute.
Forse è tempo che questo “tavolo ingessato da decenni” sia finalmente rovesciato per fare spazio a qualcosa di nuovo. Perché se davvero il trasporto pubblico locale deve sopravvivere e crescere, non può certo farlo sulle macerie delle illusioni.
Ma solo se si lotta per qualcosa di reale.