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Martedì, Aprile 8, 2025

C’è qualcosa di affascinante, quasi poetico, nell’immagine del “Diamante 2.0”, quel convoglio blu e giallo che sfreccia lungo i binari italiani scrutandoli come un medico al lavoro, grazie a una miriade di sensori, telecamere e algoritmi predittivi. Un treno che cura la ferrovia. Eppure, come spesso accade in Italia, la tecnologia corre più veloce dell’organizzazione che dovrebbe sostenerla.

Il reportage di Repubblica Affari & Finanza ci racconta l’ultima scommessa di RFI: una diagnostica ferroviaria sempre più avanzata, capace di “vedere” i guasti prima che si manifestino, di prevenire frane, allagamenti, cedimenti del binario. Una rete sotto controllo, per evitare disagi ai passeggeri e danni all’economia.

Eppure, dietro lo scintillio delle tecnologie si nasconde un sistema ancora segnato da ritardi, carenze e contraddizioni, come denuncia la FAST-Confsal, il sindacato autonomo dei trasporti che da tempo segue da vicino l’evoluzione della struttura Diagnostica di RFI.

La fotografia scattata dal sindacato rivela un quadro molto più sfumato. Il personale destinato alle varie attività necessarie è ancora incompleto, con alcune Unità Territoriali carenti di organico e costrette ad arrangiarsi. Le attività di “rerailing”, ovvero il recupero dei treni sviati o altro, sono affidate a una sola squadra per turno, una condizione che rischia di impattare negativamente in tema di sicurezza e di efficacia dell’intervento in caso di emergenza.

In alcune sedi mancano addirittura gli spazi logistici adeguati e il vestiario tecnico. Le relazioni con le DOIT – le Direzioni Operative Territoriali – sono scarse e frammentarie e la digitalizzazione dei processi è ancora in fase sperimentale, in una sola sede. Non proprio una rivoluzione già in marcia.

FAST-Confsal solleva, inoltre, una questione tutt’altro che secondaria: la qualità e la formazione. La diagnostica richiede personale altamente qualificato, costantemente aggiornato e abilitato. Eppure, secondo il sindacato, l’organizzazione della formazione è ancora disomogenea, spesso affidata a iniziative locali anziché a una regia centrale. La struttura qualità, che dovrebbe garantire il mantenimento delle competenze tecniche e delle abilitazioni del personale, appare indebolita e in alcuni casi sottodimensionata. E mentre i treni diventano sempre più intelligenti, c’è il rischio che l’intelligenza umana che li guida resti indietro, per mancanza di investimenti strutturati.

Certo, le intenzioni ci sono. L’azienda prevede l’introduzione di nuovi treni diagnostici – tra cui l’Aiace 2 – e una riorganizzazione complessiva dell’Ingegneria. Ma è difficile appassionarsi a un futuro tutto da costruire quando, nel presente, i turni di lavoro sono disomogenei, le attività di affiancamento e aggiornamento ancora precarie e i ritardi nella riconsegna dei mezzi da parte delle officine si moltiplicano, generando disservizi e frustrazione tra i lavoratori.

Non basta dotarsi di un treno intelligente se il sistema resta poco reattivo. La vera intelligenza, quella che serve oggi a RFI, è quella della resilienza organizzativa, con una necessaria visione trasversale del processo manutentivo, globale e di squadra. Servono sinergie tra i vari rami aziendali, investimenti sulle risorse umane, valorizzazione delle competenze soprattutto pratiche, ascolto delle istanze di chi la rete la vive ogni giorno sul campo in modo da intervenire in maniera tempestiva sia nella prevenzione, sia nella risoluzione dei problemi.

Pertanto il Diamante 2.0 vede tutto ma non può fare tutto da solo. Se i binari vanno curati, bisogna cominciare anche da chi li percorre e li mantiene. Perché la sicurezza ferroviaria non si garantisce con i soli algoritmi ma con una visione trasversale organizzativa di squadra che tenga insieme tecnologia, lavoro e organizzazione. Altrimenti, rischiamo che il treno intelligente viaggi su un binario zoppo.