In Italia, i contratti collettivi nazionali non scadono mai davvero: semplicemente, si consumano. Scadono sulla carta ma restano lì, immobili, in attesa di una firma che spesso arriva quando è già troppo tardi. Così, mentre l’inflazione corre e la società cambia, le tutele restano ferme e i salari arrancano. È successo – ancora – nel trasporto aereo. Ma non solo.
Nel comparto ferroviario, con l’ipotesi di rinnovo del CCNL Mobilità – Area AF, si è almeno provato a costruire un’alternativa: trattativa lunga, testo imperfetto ma reale, con aumenti superiori all’IPCA, una tantum a compensare (non del tutto, ma dignitosamente) il pregresso e un metodo che prevede confronto democratico e auspichiamo una consultazione referendaria dei lavoratori. Un modello migliorabile, ma responsabile.
Altrove, le cose vanno diversamente. Il CCSL di Stellantis e del gruppo CNH-Ferrari-Iveco è stato rinnovato per il biennio economico 2025-2026 con aumenti del 6,6% a regime, una quota una tantum di 480 euro e l’impegno a valorizzare la professionalità con premi e commissioni sull’inquadramento. Una scelta che dimostra come, anche nel settore privato industriale, sia possibile tenere il passo con il costo della vita – o almeno provarci – se le controparti scelgono il dialogo.
Poi c’è il caso paradossale dei gestori aeroportuali, dove il contratto firmato salta un intero triennio economico – dal 2022 al 2025 – e si limita a distribuire 1.800 euro di una-tantum, insufficienti a coprire gli effetti dell’inflazione. Peggio ancora: la parte normativa resta rigida, non affronta le trasformazioni del lavoro aeroportuale, ignora la richiesta di un giorno in più di ferie e congela tutto fino al 2027. È un precedente grave. Per questo FAST-Confsal ha avviato le procedure di raffreddamento e conciliazione, primo passo verso lo sciopero.
I contratti collettivi servono a regolare il lavoro nella sua contemporaneità. Se si firmano troppo tardi, smettono di farlo. La loro efficacia si misura nella capacità di intercettare i bisogni reali nel momento in cui emergono, non anni dopo.
Rinnovare alla scadenza naturale non è una pretesa formale, è una condizione essenziale per evitare che i salari si svuotino nel tempo e le regole del lavoro restino scollegate dalla realtà in cui si applicano.