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Martedì, Giugno 17, 2025

Si può siglare un contratto anche con una stretta di mano, ma non si può costruire consenso senza guardarsi negli occhi. È questo il senso profondo della scelta, tutt’altro che scontata, di sottoporre a referendum l’ipotesi di rinnovo del CCNL della Mobilità – Area Attività Ferroviarie e il CCNL aziendale del Gruppo FSI. Non una fuga ma un’assunzione collettiva di responsabilità: chiedere a chi lavora se ciò che è stato negoziato in loro nome corrisponde in parte alle loro aspettative.

La democrazia sindacale non si misura solo nelle firme in calce ai documenti ma nella partecipazione reale di chi ne subisce o beneficia gli effetti. Gli accordi interconfederali lo prevedono, ma ancor prima lo impone il rispetto dovuto a ogni singolo lavoratore. Una lezione che qualcuno ha dimenticato, come dimostra l’assenza di qualsiasi consultazione nel recente rinnovo degli autoferrotranvieri, ratificato in silenzio e subito con rassegnazione.

Nel nostro caso, invece, abbiamo scelto di aprire il confronto, anche se farlo significa esporsi. Perché mentre si prova a costruire un percorso serio di ascolto e condivisione, spuntano qua e là messaggi sarcastici, vignette anonime generate con l’intelligenza artificiale, provocazioni codarde che circolano sotto traccia. Non è il dissenso, a infastidire ma la sua banalizzazione: ridurre tutto a uno sfottò alimenta solo la sfiducia, non il confronto.

Dal 22 maggio a oggi, come FAST-Confsal, non abbiamo mai smesso di parlare con tutti. Abbiamo raccolto pareri, riflessioni, dubbi, anche rabbia. Non tutte le voci dicono la stessa cosa ma tutte meritano attenzione. E sì, forse anche queste righe saranno usate da qualcuno per una nuova polemica. Ma noi non ci nascondiamo: ci mettiamo la faccia, come sempre. Altri preferiscono avatar e maschere digitali, spesso affilando la matita rossa senza aver mai scritto una sola pagina di futuro per i lavoratori.

Il referendum, per noi, non è un punto di arrivo ma l’inizio di una riflessione collettiva. Qualunque sarà il risultato, bisognerà saperne trarre conseguenze operative. Se prevarrà il “sì”, andrà ripensata l’azione sindacale per accompagnare l’applicazione del nuovo contratto. Se sarà “no”, servirà una proposta alternativa, credibile e condivisa. In entrambi i casi, ciò che conta è non ricadere nello stallo negoziale che da troppo tempo ci condanna a inseguire aspettative crescenti senza strumenti per realizzarle.

È questo il paradosso che ci accompagna da anni: pretendere di cambiare senza mai rischiare, avanzare rivendicazioni moderando le ambizioni. Eppure il vero sindacato, quello che serve al Paese, è quello che sa dire ciò che è giusto chiedere, anche quando è difficile ottenere. Non possiamo più permetterci la prudenza che ci ha condotti a un declino salariale e produttivo che molti fingono di scoprire solo oggi.

Noi invece lo denunciamo da tempo. E ora, più che mai, chiediamo a chi lavora di aiutarci a decidere. Insieme. Con la penna, certo. Ma anche con la testa e con il cuore.