Tra vertenze riaperte e inchieste giudiziarie, il Paese deve interrogarsi
Dopo la pausa estiva, puntuale come l’equinozio ritorna la polemica sugli scioperi. Da metà luglio fino a tutto agosto, infatti, le franchigie bloccano di fatto ogni forma di astensione collettiva. È naturale che a settembre le vertenze si riversino sul tavolo, dando l’impressione di un “autunno caldo” costruito a tavolino. In realtà non c’è alcuna strategia occulta: i problemi erano solo congelati. E chi oggi alza il dito contro il diritto di sciopero, sa bene che è proprio questa compressione temporale a produrre l’effetto accumulo.
Lo si vede chiaramente nel settore aeroportuale. FAST-Confsal ha proclamato lo sciopero dei gestori dopo il fallimento del tentativo di conciliazione in Prefettura a fine luglio. Un verbale che parla da sé: l’azienda si è rifiutata di riconoscere un sindacato che rappresenta una parte crescente dei lavoratori, blindando il confronto nelle mani delle quattro sigle storiche. Così la democrazia sindacale, quella vera, non si misura nei comunicati stampa ma nei fatti concreti: la possibilità di eleggere rappresentanti, di discutere i contratti, di votare. In Aeroporti di Roma, invece, le RSU non si eleggono e la rappresentanza resta un affare interno ai sindacati riconosciuti dalla società. È questo il cuore dello sciopero: non solo salari erosi dall’inflazione ma, soprattutto, la richiesta di ascoltare tutti coloro che hanno qualcosa da dire e che rappresentano malumori e temi concreti dei lavoratori.
In un Paese che si proclama moderno, stupisce che un contratto sia rinnovato con aumenti diluiti nel tempo, senza affrontare il buco lasciato da anni di vacanza contrattuale e che a decidere siano sempre gli stessi, senza ascoltare davvero i lavoratori. È naturale, dunque, che la tensione sociale esploda quando la parola “partecipazione” diventa sinonimo di ratifica obbligata.
E poi c’è Brandizzo. L’inchiesta della magistratura ha rivelato come la tragedia non sia nata da un errore isolato ma da una gestione quotidiana fuori dalle regole scritte. Se è così, sarebbe interessante capire cosa emergerà dall’indagine interna di RFI. Perché gli audit di sicurezza, che dovrebbero prevenire queste deviazioni, non hanno segnalato la “non conformità”? La domanda resta sospesa e riguarda l’intero sistema: a cosa servono le regole, se poi nella pratica si accetta che siano aggirate?
Forse vale per gli scioperi come per la sicurezza: non sono i divieti o i protocolli a garantire davvero la tenuta di un sistema ma la trasparenza con cui si applicano.