C’è un’Italia che ogni mattina mette in moto autobus, tram e metro, ma che in realtà sembra ferma. È l’Italia del trasporto pubblico locale, quella dei lavoratori che tengono in piedi le città ma vivono dentro un sistema che da troppo tempo gira a vuoto. Autisti costretti a turni estenuanti, con nastri di lavoro che si allungano fino a tredici ore e giornate frammentate in attese, spostamenti e corse che non finiscono mai. Le cosiddette “soste urbane” — le aree dove poter attendere, riposare, respirare — sono spesso miraggi. Mancano i servizi, mancano spazi sicuri, manca la semplice idea che chi guida un autobus sia una persona e non una parte del mezzo.
In tutto il Paese mancano oltre ottomila autisti. Le aziende, invece di migliorare le condizioni di lavoro, rincorrono soluzioni tampone: incentivi momentanei, contratti precari, corsi di formazione mai decollati. Ma non si risolve il problema se gli stipendi restano bassi, se il nuovo contratto nazionale — rinnovato a marzo — è percepito più come un atto dovuto che come un reale passo avanti. Gli aumenti salariali, pur significativi sulla carta, non compensano la perdita di potere d’acquisto, né il peso fisico e mentale di un mestiere che andrebbe riconosciuto a pieno titolo come lavoro usurante.
Gli autisti raccontano di giornate spezzate, di tempi di attesa non considerati orario di lavoro e di una pressione costante per garantire puntualità in un contesto urbano sempre più caotico. A tutto questo si aggiunge la paura: aggressioni, insulti, minacce che si moltiplicano e che spesso restano senza risposta. Un clima di esasperazione generale che si scarica su chi è in prima linea, senza tutele adeguate né protocolli di sicurezza realmente efficaci.
FAST-Confsal lo ripete da anni: non si può pensare di avere un trasporto pubblico moderno senza mettere al centro le persone che lo rendono possibile. Servono investimenti veri sulla formazione, sulla sicurezza e su un’organizzazione del lavoro che rispetti tempi e spazi umani. Non basta un contratto per cambiare la cultura di un settore lasciato al risparmio e all’improvvisazione.
Il TPL è un servizio essenziale, non un favore concesso ai cittadini. Ma finché chi lo garantisce sarà trattato come un costo da contenere e non come un valore da tutelare, continueremo a viaggiare in ritardo.
E non basterà un biglietto per rimettere in moto la dignità di chi, ogni giorno, porta avanti il Paese.