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Martedì, Ottobre 21, 2025

C’è qualcosa di profondamente stonato nella vicenda del macchinista licenziato dopo l’incidente del dicembre 2023, e non è solo la leggerezza con cui certa stampa ha cavalcato la notizia.

Il Corriere del Veneto ha costruito un titolo da prima pagina — “Tanti fanno uso di droghe, non sono un caso isolato e le Ferrovie lo sanno” — virgolettando parole mai dette in quei termini. Una frase difensiva, estratta da un documento giudiziario, è diventata lo slogan di un presunto “sistema marcio”. Un colpo gratuito all’onore di centinaia di professionisti che ogni giorno portano in sicurezza milioni di italiani da nord a sud.

Ma se il giornalismo d’assalto si muove per audience, stupisce e amareggia il silenzio di Trenitalia.
Possibile che l’azienda non abbia sentito il bisogno di difendere i propri macchinisti che rappresentano il volto visibile della sicurezza ferroviaria? Possibile che di fronte a un titolo che getta fango non solo su una categoria ma sull’intero Gruppo FSI, nessuno abbia sentito il dovere di chiarire, spiegare, smentire?

Il danno d’immagine è evidente: il messaggio passato all’opinione pubblica è che il sistema ferroviario italiano sarebbe popolato da “macchinisti tossici” e da un’azienda che chiude un occhio. Una falsità totale.

Chi conosce la realtà ferroviaria sa che i controlli sono ferrei, le visite mediche periodiche, i test tossicologici a sorpresa, la tolleranza per droghe e alcol pari a zero.

Il punto è che una notizia falsa, se non contrastata, diventa verosimile. E quando chi dovrebbe difendere il buon nome del servizio pubblico resta in silenzio, il risultato è un treno di menzogne lanciato a tutta velocità.

Trenitalia avrebbe dovuto rispondere, con fermezza e trasparenza. Perché la verità, come la sicurezza, non può mai restare ferma in stazione.