C’è chi chiama progresso tutto ciò che luccica, anche quando dietro quel luccichio si nasconde un abisso. Noi no. Il progresso non è un algoritmo che decide quanto vale il lavoro di un uomo. Non è una piattaforma che stabilisce chi merita di lavorare e chi deve restare fermo al palo. Nei giorni scorsi, con l’emendamento 4.0.2 al DDL Concorrenza, qualcuno ha tentato di far passare per innovazione quella che, in realtà, era una resa incondizionata al potere delle multinazionali. Una trappola elegante, scritta in linguaggio tecnico, che avrebbe permesso alle piattaforme digitali di fissare le tariffe dei taxi con un algoritmo basato su quelle comunali. In apparenza un gesto neutro, perfino moderno. In realtà, l’inizio della fine del servizio pubblico come lo conosciamo.
Dietro quell’emendamento si nascondeva l’idea di trascinare i taxi nel libero mercato, come fossero merci in saldo, e non un servizio essenziale che deve restare accessibile, controllato, equo. Perché è facile parlare di concorrenza quando si hanno alle spalle miliardi di dollari, server che analizzano i flussi in tempo reale e campagne pubblicitarie globali. Ma è un’altra storia per chi ogni giorno accende il tassametro, conosce i volti dei suoi passeggeri, accompagna un anziano all’ospedale o una madre in ritardo a scuola. Quelli non sono numeri: sono persone, vite, fiducia.
Il pericolo era chiaro: una corsa al ribasso dei prezzi, una giungla dove a vincere sarebbe stato solo chi ha più potere economico e tecnologico. E gli altri? Costretti a piegarsi, ad aderire a piattaforme che li avrebbero resi dipendenti di un algoritmo, esecutori di logiche invisibili, privati della propria autonomia. Tutto questo in nome della concorrenza. Come se concorrenza significasse cancellare le regole, sacrificare la dignità sull’altare dell’efficienza.
Non siamo nostalgici, né nemici dell’innovazione. Ma l’innovazione non è servitù. È progresso solo quando rispetta il valore umano, quando non riduce il lavoro a una formula matematica. Il tassametro, con la sua freddezza analogica, è molto più umano di qualsiasi app: è un simbolo di trasparenza. Il prezzo è quello, chiaro, visibile, indipendente dal traffico, dagli scioperi o dagli umori di un algoritmo che decide quando costi troppo.
E allora sì, oggi possiamo dirlo: il ritiro di quell’emendamento è una vittoria della ragione. Una boccata d’aria in mezzo al rumore di chi scambia il futuro per una scorciatoia. Il senatore Scurria ha parlato di aprire un tavolo di confronto. Bene. È da lì che si deve ripartire: dal dialogo vero, non dalle imposizioni. Perché cambiare si può, ma non a costo di svendere la dignità di chi lavora.
Il servizio taxi è parte del tessuto urbano come i lampioni, come le piazze, come la voce della città di notte. Non si può ridurlo a una voce di bilancio. Chi ogni giorno siede al volante non è un ingranaggio da sostituire con un software: è un presidio di civiltà. E finché ci sarà qualcuno disposto a ricordarlo, il tassametro continuerà a battere. E batterà per la dignità.





