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Martedì, Novembre 4, 2025

Dopo sette anni di convivenza difficile, torna l’ipotesi di separare Anas da Ferrovie dello Stato. Ma il rischio, senza un piano chiaro, è di aprire un nuovo fronte d’incertezza per migliaia di lavoratori e per la strategia infrastrutturale del Paese.

 

Sette anni dopo l’acquisizione di Anas da parte di Ferrovie dello Stato Italiane, il matrimonio industriale voluto nel 2018 dal governo di allora mostra tutte le sue crepe. Un’unione nata “a costo zero” per la finanza pubblica ma mai davvero digerita dal sistema. La Corte dei Conti, con la sentenza n. 976 del 2023, ha ribadito la natura pubblicistica di Anas, vanificando di fatto l’idea di una progressiva fuoriuscita dal perimetro statale e lasciando sospesa la questione dell’estensione della concessione al 2052.

Ora, il tema dello scorporo torna al centro del dibattito. Lo stesso amministratore delegato del gruppo FSI aveva ammesso che le sinergie attese “non si sono verificate”, definendo Anas “una voce di costo priva di revenues proprie”. Parole che anticipano un possibile disimpegno ma che aprono interrogativi pesanti: quale sarebbe la missione di un’Anas autonoma? E soprattutto, con quali garanzie per i lavoratori e per la continuità del servizio pubblico?

In questa fase, la posizione della FAST-Confsal è improntata al pragmatismo: dialogo sì, ma senza rinunciare ai principi. L’obiettivo non è salvare una struttura, bensì un modello di infrastruttura pubblica efficiente, sostenibile e sicura, capace di servire il Paese e non di generare nuovi vuoti di governance. Come ha ricordato Pietro Serbassi, Segretario Generale della FAST-Confsal, serve un confronto trasparente e partecipativo che rimetta al centro la competenza e il ruolo di chi in Anas lavora da anni con professionalità e senso di appartenenza.

Dopo il matrimonio forzato, l’Italia non ha bisogno di un divorzio improvvisato. Ha bisogno di una visione.