Tra un rinnovo contrattuale compresso dal caos istituzionale, una prescrizione che riapre il tema della sicurezza ferroviaria e uno sciopero simbolico nato da un altro grave infortunio, la settimana racconta un settore dei trasporti che chiede finalmente una direzione politica chiara.
È stata una settimana densa, una di quelle in cui il settore delle infrastrutture rivela tutte le sue crepe. Il cambio ai vertici di ANAS non è stato un freno volontario, ma l’effetto collaterale di scelte politiche che stanno ridisegnando il perimetro dell’azienda, a partire dalla decisione di farla uscire dal Gruppo FSI. È questa incertezza strategica, più che la volontà delle parti, ad aver compresso i tempi del rinnovo e a costringerci oggi in una strada stretta: negoziare mentre il futuro assetto proprietario è ancora un foglio in bozza. In questo quadro si è scelta una linea di responsabilità, puntando a salvaguardare nell’immediato la tenuta retributiva e a intervenire solo sui punti che non rischiano di essere travolti dalla riorganizzazione, come alcuni correttivi di sistema richiesti da tempo dai lavoratori. È un lavoro “di bordo campo”, prudente ma necessario, nell’attesa che il quadro politico chiarisca dove andrà ANAS e quali spazi reali di autonomia potrà avere il contratto nel nuovo assetto.
Sul fronte ferroviario, intanto, l’aria non è più leggera. La nuova prescrizione sulle procedure di interfaccia e l’ombra lunga dell’utilizzo del macchinista solo sui treni merci riaprono un nodo che sembrava superato ma che ritorna ogni volta che la politica cerca scorciatoie organizzative. La sicurezza, però, non è un algoritmo da ottimizzare. È fatta di soccorsi che devono arrivare, di tecnologie che devono funzionare, di regole comuni che oggi semplicemente non ci sono. E quando il legislatore latita, a pagare sono sempre le stesse categorie, già sottoposte a turni massacranti e responsabilità crescenti.
Poi c’è lo sciopero simbolico in Mercitalia Shunting, convocato dopo l’ennesimo grave infortunio. Un gesto di quattro ore, sobrio ma potentissimo, che denuncia ciò che ormai non si riesce più a mascherare: turni tirati oltre il limite, pressioni indebite, richieste “informali” di presentarsi comunque, mentre le sentenze della Cassazione continuano a ricordare che sostituire chi sciopera con quadri e dirigenti non è solo indebito, è illegale.
Messe insieme, queste tre vicende non parlano di contratti, procedure o scioperi. Parlano di un sistema che ha bisogno di una bussola politica. Perché senza una strategia di lungo periodo continueremo a rincorrere emergenze che, in realtà, erano scritte da tempo. E a quel punto, a rischiare non saranno solo i lavoratori. Sarà la credibilità dell’intero settore.






