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Martedì, Dicembre 2, 2025

Quando si lavora in un appalto, capire chi è davvero responsabile del pagamento della retribuzione non è sempre semplice. Sulla carta il datore di lavoro è l’appaltatore, ma quando emergono irregolarità, ritardi o buste paga incomplete, il rischio è di restare senza tutele. Per scongiurare questa situazione il legislatore ha introdotto la responsabilità solidale tra appaltatore e committente. Una garanzia importante, che permette al lavoratore di chiedere quanto gli spetta anche a chi ha commissionato il servizio.

Su questo tema è intervenuta la Cassazione con l’ordinanza n. 24911 del 2025, destinata ad avere un impatto significativo per tutti i dipendenti degli appalti. La Corte ha chiarito un punto decisivo: i crediti retributivi verso il committente non sono un diritto nuovo e distinto rispetto a quelli vantati verso l’appaltatore, ma rappresentano lo stesso credito. Questo comporta che si applica un unico regime di prescrizione, identico per entrambi i soggetti obbligati.

La Corte ha esaminato il caso di un lavoratore che chiedeva differenze retributive direttamente al committente. Quest’ultimo sosteneva che il credito fosse ormai prescritto, ma i giudici di merito avevano dato ragione al dipendente. La Cassazione ha confermato la decisione, sgombrando il campo da ogni equivoco: committente e appaltatore devono la stessa prestazione, e i termini entro cui il lavoratore deve agire non cambiano a seconda di chi venga chiamato a rispondere.

La prescrizione dei crediti retributivi, quindi, resta di cinque anni e decorre in modi diversi a seconda del tipo di rapporto di lavoro. Se questo è assistito da stabilità reale, il termine decorre durante il rapporto; se invece non è tutelato contro il licenziamento – come nel caso esaminato – la prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione del rapporto. Questo principio, ribadito con forza dalla Cassazione, impedisce che il committente possa sottrarsi ai propri obblighi sfruttando tecnicismi o letture restrittive della legge.

Un altro aspetto importante riguarda le richieste stragiudiziali. La Corte ha confermato che una semplice diffida scritta è sufficiente a interrompere i termini prescrizionali, tanto verso l’appaltatore quanto verso il committente. Ciò rafforza ulteriormente la posizione del lavoratore, che può tutelarsi tempestivamente anche senza avviare subito un giudizio.

L’ordinanza ha quindi un valore pratico molto concreto: garantisce che la responsabilità solidale non resti una previsione teorica, ma una vera tutela per chi lavora. La maggior parte degli appaltatori sono realtà di piccole dimensioni, che possono trovarsi in difficoltà economiche o cessare improvvisamente l’attività. Senza una disciplina chiara sulla prescrizione, il rischio sarebbe quello di rendere inefficace la possibilità di agire contro il committente, spesso economicamente più solido.

In conclusione, il messaggio della Cassazione è netto: i diritti dei lavoratori negli appalti devono essere garantiti in modo uniforme, senza che la scelta del soggetto contro cui agire influenzi tempi o possibilità di recuperare quanto spetta. Per chi opera negli appalti, questo significa maggiore sicurezza e la consapevolezza di non essere lasciato solo di fronte alle difficoltà dell’appaltatore. Una tutela essenziale in un settore in cui ritardi e irregolarità retributive purtroppo non sono rari.