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Martedì, Dicembre 23, 2025

I permessi per disabilità non possono diventare una penalizzazione economica. FAST-Confsal: la contrattazione non aggiri i diritti, li difenda.

C’è un’Italia che a parole celebra l’inclusione, la famiglia, la solidarietà. E poi ce n’è un’altra che, nei regolamenti aziendali, fa di tutto per farle pagare. L’ultima sentenza del Tribunale di Firenze, sezione Lavoro, sta tutta dentro questa contraddizione e la risolve senza giri di parole: usare i permessi della Legge 104 come una colpa da scontare in busta paga è discriminazione pura.

È la terza decisione favorevole in pochi mesi, dopo quelle di marzo 2025, e il messaggio è ormai chiarissimo: le assenze effettuate per assistere un familiare con disabilità non possono essere trattate come “assenze improduttive” ai fini del premio di risultato. Devono essere considerate presenza effettiva. Punto.

Il caso riguarda un lavoratore di Autolinee Toscane che si è visto ridurre il premio aziendale perché aveva fatto ciò che la legge non solo consente, ma tutela: prendersi cura di un figlio disabile. Gli accordi aziendali sulla produttività escludevano quei giorni dal conteggio delle presenze, con un effetto molto concreto: meno soldi in tasca, meno riconoscimento, una penalizzazione economica diretta legata a una condizione protetta.

Il giudice non ha avuto esitazioni. Il termine di paragone, scrive la sentenza, è il lavoratore che non ha bisogno di assentarsi per cura. Se a parità di lavoro svolto uno prende meno perché esercita un diritto previsto dalla legge, non siamo davanti a una “regola neutra”, ma a una discriminazione vietata dal D.Lgs. 216/2003. E non è solo una questione contabile. È una ferita alla dignità della persona, tanto che il Tribunale ha riconosciuto anche il danno non patrimoniale, ricordando che l’atto discriminatorio lede direttamente la personalità morale del lavoratore.

Su questo punto FAST-Confsal è netta e coerente da tempo: la contrattazione aziendale non può diventare il luogo in cui si aggirano i diritti fondamentali con formule apparentemente tecniche. I premi di risultato non sono una concessione benevola dell’impresa, ma uno strumento che deve rispettare i principi di legge e di uguaglianza sostanziale. Penalizzare i caregiver significa colpire due volte: chi lavora e chi, fuori dall’orario di lavoro, regge pezzi di welfare che lo Stato spesso scarica sulle famiglie.

Questa sentenza non è un dettaglio giuridico per addetti ai lavori. È un avvertimento politico e sindacale. Dice alle aziende che certi “equilibri” costruiti sulla pelle dei più fragili non reggono più. E dice anche alle parti sociali che continuare a firmare accordi distratti - quando non compiacenti - su questi temi non è neutralità: è corresponsabilità.

A Firenze il diritto ha fatto il suo mestiere. Ora tocca alla contrattazione fare altrettanto. Perché la produttività che punisce la solidarietà non è modernità: è solo una vecchia ingiustizia con un nome nuovo.